Margot scrive... Confine tra scrittore e celebrità

 

C’è stato un tempo in cui gli scrittori venivano visti come intellettuali irraggiungibili, o persone così dedite alla propria arte da vivere in povertà.

Solo chi proveniva da una famiglia ricca, riusciva a sopravvivere nel mondo della letteratura e mantenere il lusso di definirsi scrittore.

Non venivano organizzati corsi di scrittura o presentazioni dei libri.



Si imparava a scrivere in solitaria, attraverso la letteratura dei grandi romanzi e l’immagine pubblica si limitava ai soliti letterari e ai caffè.

Poi…


Dopo il boom economico, qualcosa è cambiato.

In America, dopo la Beat Generation, sono iniziati i primi walking tour, alla ricerca dello scrittore nel suo habitat, vere e proprie peregrinazioni con lo scopo di presentarsi dinanzi alla dimora di Bukowski o Carver. 

Soprattutto, nascono le prime scuole di scrittura, importanti tanto quanto l’università stessa. 

E, allora, in Italia ci si è adattati come meglio si poteva.

I corsi di scrittura non avevano la stessa valenza di una laurea magistrale, ma erano uno strumento dello scrittore, per farsi conoscere nel settore.

Allo stesso modo, lo scrittore doveva farsi conoscere dal grande pubblico dei lettori, ma come fare? 

Le presentazioni dei libri, con annessa tournée delle librerie (in una città o in tutta Italia), sono sembrate delle soluzioni ideali.

Adesso, nel ventunesimo secolo, tutto questo bisogno degli scrittori di farsi conoscere dalla massa, ha generato una schiera di celebrità che non scrivono per “manifestare la propria arte” ma per “manifestarsi”.

Mettersi in mostra come delle vere star del cinema. 

Ma tutto questo è sbagliato?


Forse, è sbagliato il ruolo che il mondo ha dato al libro, condannandolo a semplice elemento d’arredo e non più uno strumento. 

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